ITALINA la Grande Guerra e la sua vedova

Testo di Bruna Mozzi
Traduzione in lingua veneta di Piermario Vescovo
Registrazioni audio FraMax Entertainment
Drammaturgia e regia di Beatrice Zuin

1918 la guerra non è ancora finita. Nell’entroterra veneto vive una donna tenace, senza cultura, ma di grande coraggio: si chiama Italina. Vive in campagna tra le poche galline rimaste e le figlie che non hanno ancora un marito. Molte bocche da sfamare. Dalle trincee del fronte carsico ritorna il povero marito Giovanni per andarsene poi per sempre sul letto dove son nati i suoi figli. L’eredità della guerra passa al figlio minore, l’unico maschio rimasto: il dolce Giacomo, uno dei ragazzi del ‘99. La madre ne attende trepidante il ritorno, sola, senza più un compagno, ma sempre piena di speranza. Si commuove e si agita, ma non si perde mai d’animo. Sa anche sperare e sorridere mentre ricorda quando era giovane, faceva filò, cantava e ballava sull’aia.

Un dramma esistenziale il suo, ma rappresentativo di tanti. Una donna che narra di sé e che costituisce un paradigma di dolore delle donne di tutti i tempi, delle vedove di sempre, delle madri coraggio che nei periodi di guerra dalle città e dalle campagne devastate hanno alzato il loro grido straziante. Tra sogno, commozione, pianto e gioia, Italina racconta la sua storia, parlando in lingua veneta, con le parole che usavano i nostri antenati delle terre venete, lavoratori infaticabili della terra, eroi del quotidiano e spesso martiri al fronte. Il dialetto che Italina usa è comprensibile a tutti, proprio perché accompagnato dal gesto, dal movimento, dall’azione scenica, come il teatro esige da sempre.
Un esempio di cui parlare alle giovani generazioni che a scuola leggono forse Rigoni-Stern, Ungaretti, Comisso, Montale, ma spesso non sanno quale sia stata la condizione delle famiglie e della società lontano dal fronte. Quando la memoria si fa spettacolo drammatico, allora crea quell’effetto che affascina anche i giovani spettatori e usando il mezzo del palcoscenico attrae e ad un tempo distrae dalla didattica talvolta purtroppo libresca o retorica, riuscendo ad educare e ad insegnare in quell’aula meravigliosa che è il teatro.
Bruna Mozzi

Quando ho letto il testo ho compreso quanto fosse denso di significati e di ricerca, ma l’anima teatrale era celata dietro il racconto. Ho lavorato quindi, sulla drammaturgia del testo trasformandolo e finalmente ho composto la mia Italina: Italina parla in dialetto. Italina è vera e dolente quando è sola con i suoi pensieri. Italina immagina. Italina sta per impazzire… Italina è lo specchio che riflette la luce intensa dei drammi della guerra con l’effetto di amplificarne la dimensione, facendo deflagrare il dramma di quegli anni in una quotidiana disperata lotta, lontana dal fronte e dalle trincee.
La scena volutamente scarna ed evocativa si riempie di emozioni scaturite da una condizione che non ha scampo, da idee di fuga inattuabili, da attese estenuanti, da continue interruzioni dei propri pensieri… dal lavoro puntiglioso, denso di sentimenti con Lucia.
Beatrice Zuin

Vespertilla Nord-Est, rivista online
NOSTALGIA DI UN MONDO SPAZZATO VIA DALLA GUERRA
ITALINA. LA GRANDE GUERRA E LA SUA VEDOVA, Teatro Quirino De Giorgio
(24 maggio 2015 Vigonza)
Nel centenario della Grande Guerra, numerose e multiformi rievocazioni e celebrazioni rivedono, e mostrano, quegli anni con cura storica, ma con attenzione anche verso la memoria meno nota, quella della paura, del dolore, delle morti assurde e anonime al fronte, dell’angoscia di chi era fisicamente lontano dai luoghi delle grandi battaglie e doveva combattere sul fronte di una dura e difficile quotidianità. In questo “esercito” stanziato nelle città, nei paesi, nelle campagne, la prima fila spettava alle donne, e tre donne di oggi danno voce e corpo, cent’anni dopo, a una donna di ieri, con lo spettacolo Italina, la Grande Guerra e la sua vedova, un lavoro nuovo, rappresentato per la prima volta nel maggio di quest’anno. Bruna Mozzi, docente di Lettere, critica letteraria, scrittrice, è autrice del testo, drammatizzato e diretto dalla regista e attrice Beatrice Zuin, e interpretato da Lucia Schierano. Si tratta di un monologo e la protagonista conferma le sue capacità recitative in questa tipologia di rappresentazione. Già apprezzata e nota, ad esempio, per Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, o per Caterina, una strega nel Cinquecento, la Schierano, in Italina, disegna un personaggio di fantasia, ma intensamente reale e vivo, emblematico di un mondo, quello della campagna veneta ai tempi della Prima Guerra Mondiale, e della condizione delle donne nella società rurale dell’epoca. Il personaggio acquista spessore e impatto grazie alla sinergia di autrice, regista, e attrice, le quali, con pari impegno e pari contributo, hanno speso professionalità, creatività, ed emozione, tanto da rendere Italina una quarta compagna di questo viaggio che parte dalla memoria ma apre altri spazi e dimensioni. Italina, lo dice il titolo, è vedova di guerra, madre di tre figlie, e di un ragazzo richiamato al fronte. Donna abituata alla fatica e alle durezze della vita contadina, cerca comunque poesia e pace in speranze alle quali si aggrappa quasi ossessivamente, e in ricordi di momenti d’amore e di felicità. Alterna rabbia e invettive contro l’assurdità della guerra a passaggi sognanti che sconfinano in una dolce follia. Passato e presente s’intrecciano con naturalezza e armonia, e il monologo si dipana lungo tutta la vita della protagonista, dall’infanzia, al matrimonio, alla nascita dei figli. Italina descrive usanze, tradizioni, racconta, oltre a se stessa, la vita del paese e la sua gente. La sua nostalgia di un mondo spazzato via dalla guerra è un grido che va oltre il tempo, e oltre i campi fra i quali è cresciuta, è una domanda di pace e di speranza ancora oggi disattesa. Il monologo, scritto e recitato in dialetto veneto, risulta scorrevole e comprensibile anche grazie alla ricca gestualità ed espressività della recitazione, ed è concepito per la messa in scena completa in un teatro. Ne esiste un adattamento in italiano, pensato per un contesto di sola lettura, comunque interpretato e recitato. La versione teatrale ha una conclusione di taglio quasi onirico, con un cambio d’abito di forte impatto scenografico. Italina, per andare a messa, indossa il suo abito da sposa, ritrovando persino una punta di vanità femminile nel far notare che le sta ancora quasi a pennello, ed esce di scena come una principessa, sfidando non solo i prevedibili commenti di tutto il paese, ma anche la fatica, il dolore, l’angoscia, con la forza della gioia e dei sogni che, in lei, nonostante tutto, non sono mai morti.

Laura Ruzickova

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